Faust'o

Faust'o

sabato 27 ottobre 2012

1980 J'accuse...Amore mio



Popster 1980 di F.S.
Si chiama Faust'o con l'apostrofo e sarà meglio ricordare al lettore che più di un anno fa si poteva leggere in un comunicato pubblicitario sui giornali specializzati che questo povero ragazzo si era perduto e che bisognava dare notizie quante più possibili sulla sua fine: Faust'o arriva come tanti da quella Milano che proietta sui suoi artisti la dimensione apocalittica della metropoli piena zeppa di contraddizioni, di luoghi comuni, di ricerche da parte dei suoi individui di un nuovo strumento di comunicazione che sia definibile fuori da qualsiasi metafora urbana, volta invece alla ricerca introspettiva di ciò che fa degli individui un elemento essenziale come ad esempio, il loro carattere, la loro personalità talvolta contorta spesso già affermata. Faust'o si affaccia al mondo della canzone e a quello non meno intricato del mercato discografico presentandosi come l'immagine speculare di un figlio di David Bowie, o forse meglio di Brian Ferry per i quali nutre amore viscerale. In questo riflesso immaginario c'è chi coglie aspetti solo negativi e per un certo periodo di Faust'o non si sente parlare granché. Il tutto viene rimesso in discussione allorché Faust'o si trasferisce dalla grande casa discografica a quell'etichetta collaterale che si chiama Ascolto, nata con il proposito preciso di dare qualcosa di nuovo all'«agonizzante» musica italiana. Lo spettacolo. È per questo che nasce in Faust'o una maggiore consapevolezza dei propri mezzi, una maggiore comunicativa espressiva che sempre di più e con sempre maggior forza si sgancia dalle immagini riportate dai grandi maestri del rock decadente addirittura cercando di creare di sé un'immagine quanto pii «progressiva» possibile.
Lo aiutano uno stuolo di musicisti, un gruppo di giovani strumentisti che dal vivo confortano l'artista con un sostegno continuo di indiscutibile qualità. Anch'essi provengono da quella fucina inesauribile di giovani musicisti milanesi alla ricerca di nuovi linguaggi espressivi, stando ben con i piedi per terra, alcuni di loro continuano a farsi le ossa al conservatorio, altri dimostrano già di avere conseguito una maturità di insieme invidiabile.  La scena di Faust'o è decisamente grezza ma non per questo poco suggestiva: la regia è affidata a Maurizio Salvadori, l'idea scenica a due giovani ex teatranti del teatro Pierlombardo di Milano, il fardello dei suoni a quella vecchia volpe di Albertone Radius che fa cose egregie al mixer. Faust'o ha un timbro di voce basso, estremamente vivo e soprattutto caratteristico. Ogni sua interpretazione corre sul filo della dimensione di un'aggressività e di una nonchance che ricordano molto le poche cose salvabili della new wave. Sul palco Faust'o, che fin dagl'inizi dello spettacolo cerca un contatto dialogante con il pubblico, muovendosi fra di esso ed offrendo rose rosse a tutti, cerca ulteriori agganci con l'audience mettendo a nudo certi meccanismi del trucco e giocando con sufficiente misura con una dimensione di uno specchio rettangolare alto che forse sta a rappresentare l'altro Faust'o, la sua immagine riflessa; lui il corpo, la sua immagine, il suo spirito. Al Picchio Rosso nota discoteca del modenese, famosa anche per le frequenti poco cordiali accoglienze che il pubblico riserva agli spettacoli della sera, la gente dimostra invece di apprezzare lo spettacolo di Faust'o nella sua interezza, nel suo eccellente impatto musicale. Forse sul piano dell'interpretazione molte cose sono ancora da rivedere, ma complessivamente la rappresentazione mostra che il pargolo dell'Ascolto è sulla buona strada e che i suoi sforzi ora andrebbero confortati da un adeguato successo di vendite discografiche. L'idea pur non rasentando se non in qualche punto l'originalità allo
stato puro, va lodata per il suo insieme piacevole e per gli sforzi di nuovi modelli comunicativi in essa inseriti. L'intervista. È breve, scambiando quattro chiacchiere con Fausto nel suo camerino mentre si sta risciacquando il viso.
P. Mi sembra che tu abbia un rapporto quasi di adulazione con il microfono.
F. Beh, in un certo senso hai ragione
P. Come mai?
F. Il microfono è tutto: io lo venero, mi inginocchio davanti alla sua asta perché lo considero lo strumento più importante dello spettacolo.
P. C'è provocazione nel tuo spettacolo?
F. Secondo te?
P. Beh quando ti lavi la faccia o ti trucchi così davanti a tutti, in parte credo che lo sia. .
F. Non è provocazione vera e propria, io cerco di portare alla gente la consapevolezza di quei misteri dello spettacolo che spesso le vengono negati. Truccarsi in scena vuol dire portare il pubblico nel camerino farlo diventare partecipe di azioni di cui in genere vede solo i risultati.
P. La tua camminata fra il pubblico all'inizio mi ricorda molto Poter Gabriel che incomincia i suoi concerti partendo dalla folla e cantando fra di essa.
F. È un caso te lo assicuro, io non amo molto Peter Gabriel, anzi non l'ho neanche mai visto. L'idea di dare fiori alla gente nasce spontanea per trovare subito un giusto feeling comunicativo.
P. Jagger gli rovescia addosso l'acqua.
F. Jagger può farlo, io al massimo illumino con i riflettori la folla facendo scomparire la mia figura dietro il riflesso della luce. Poi riappaio con un'altra maglietta.
P. Hai paura della gente?
F. Forse sì, in un certo senso. E solo la quinta uscita di questo nuovo spettacolo e credo ci sia ancora molto da mettere a punto...
P. Cosa significa trasformismo per te?
F. Andare avanti, filtrare nuove immagini cercando di rimanere sempre se stessi.
Credo sia la cosa più importante.

LA GUERRA E' SUONATA
Il primo soldato di questa guerra è appoggiato a una parete, Faust'O, immobile,guarda la battaglia senza partecipazione evidente. E' distaccato, sembra lontano. La sua voce è tesa, il tono è costante, quasi cupo, come sempre. Cambia solo quando, per la prima volta, coglie altre note, più alte, per chiamare la gente all'orrore della battaglia. «J'accuse... amore mio» è un disco di guerra. Perché?
«Scritto e cantato in tempo di guerra, cos'altro poteva essere?»
Quale guerra?
«La Terza Guerra Mondiale».
Quando è cominciata?
 «Da anni. Siamo in guerra da anni e ancora dobbiamo accorgercene. Viviamo con il terrore di una catastrofe nucleare e ancora non vogliamo credere che la vera guerra, è questa, questa vita vuota, uguale, rotta dagli spari dei più disperati».
Chi porta la guerra?
«Hai mai acceso un televisore? Hai mai letto un giornale? La guerra è morte, e la morte adesso ce la portiamo in casa, in diretta. E quando entra lei muore la nostra capacità dì reagire, di lottare. Si aspetta... Guarda le riprese alla Fiat, quando c'erano gli scioperi. Ma hai visto quegli sguardi, addosso e non sai da dove, quando spari e non sai a chi».
Ma chi è il nemico? «II nemico non si sa chi è, non ha più importanza saperlo. Siamo tutti in trincea, alle armi».
Chi sono gli alleati?
«Nessuno. Ognuno aspetta da solo. Si è soli, come sempre. L'illusione di poter insieme, il '68, il '77... Tutto finito; si torna a noi stessi ma è dura.  Io mi ci sono trovato dentro, non so altro, non so niente».
Ma chi combatte?
«Quelli che se ne sono accorti che cercano dì ricucire qualcosa, di mettersi insieme... Peggio di una guerra: in guerra almeno si sa quando finisce».
Cosa fa più paura, in guerre come questa?
«I diciassettenni. Mi fanno paura. Sono cosi diversi da me, che ne ho solo ventisette. Non parlano, sono capaci di stare soli, fare una cosa o forse un'altra per loro è lo stesso».
Quali sono i pericoli maggiori?
«La mancanza,di personalità. Se cominciassimo a trovare una nostra personalità, le nostre cose da fare, da dire,cose in cui credere».
Non c'è proprio più scampo?
«Ci può essere,a parte le soluzioni sulla terra io credo insomma, io sono convinto che gli extraterrestri ci siano, che possano servire anche a noi, a farei ritrovare, a darci di nuovo un'identità...».In tutto il mondo?
«Certo, anche perché il mondo oggi è in tutte le case. Ma hai visto quando'hanno fatto vedere le riprese di quel telecronista ammazzato in Nicaragua? Le immagini dei terremoti? Una volta, prima che le notizie ' ti arrivassero, passava abbastanza tempo perchè tutto diventasse passato, ovattato nella memoria. Adesso tutto ti piove addosso come se tu ci fossi sempre in mezzo,senza pace, senza un attimo di pausa. Crolla un palazzo a New York e ti sembra che sia caduto vicino a te».
J'accuse è un disco da combattente, quindi?
«Uno che vorrebbe solo stare a guardare. Di un soldato che combatte perché ormai è in mezzo alla battaglia. Ma c'è stanchezza, come in '"Hotel Plaza", tristezza, come in "Buon anno", rabbia, come in "Non mi pettino mai", nevrastenia, come in "Disaster".»
Nessuna.speranza, allora?
«C'è anche quella, in "Forse anche noi...", ma è davvero piccola. C'è perché non può non esserci. Per noi che ci siamo accorti della guerra, combattenti solitari, e per gli altri. Là mia arma è l'unica che so usare, la voce».
Fino all'eroismo?
«Non è guerra da eroi. E poi, gli eroi sono solo uomini impazziti. Adesso lasciami perdere».

NEOMUSIK
Ciao 2001, 14 dicembre 1980 di Manuel Insolera
Con J'accuse... amore mio, Fausto approfondisce i temi già affrontati nei precedenti due lavori: l'alienazione, l'angoscia quotidiana.
"Chi ha visto faust'o dalle scarpe gialle?". Con questo slogan senza senso, nello spazio pubblicitario di un quarto di pagina di giornale, cominciava due anni fa l'avventura artistica di Fausto Rossi, in arte Faust'o. La sua apparizione sulla scena musicale italiana spostava improvvisamente l'orizzonte ormai troppo tipicizzato del cantautore all'italiana tradizionale, per proporre un nuovo tipo di pop-singer, all'epoca per noi del tutto inedito. Se per parecchi tra i più noti cantautori il principale punto di riferimento più o meno rimosso era Bob Dylan, Faust'o compiva d'un balzo il "salto generazionale": i suoi modelli dichiarati erano Bowie, Eno,Roxy Music: insomma quella sorta di estetismo metropolitano, in presa diretta con le sfide del futuro, che di lì a poco in tutto il mondo avrebbe costituito il primo nucleo di una delle porzioni più interessanti della odierna New wave, quella del cosiddetto rock Afterpunk, del rock elettronico e futurista. Antesignano in Italia, Faust'o avrebbe aperto la strada a tutto il mini-movimento dai Chrisma ai Decibel, ai Revolver, eccetera, che ben presto avrebbe assunto la forma di quella che oggi si definisce comunemente la new wave italiana.
Ovviamente, il grande pubblico non si è ancora accostato alla musica di Faust'o che potremmo definire come un "pop-elettronico-estetico", legato ai temi della modernità, della glacialità, della mutazione. Un pop elettronico estetico formalmente fruibile, ma tematicamente di più complessa percezione: e solo in quest'ultima accezione, dunque, un pop d'avanguardia. Il primo album del 1978 "Suicidio" era prodotto ed arrangiato da Alberto Radius con testi e musiche di Faust'o.
Per l'Italia si trattava di un prodotto come abbiamo detto interessante, soprattutto per la sua assoluta novità. Anche se poi a livello strutturale le imperfezioni c'erano: dal sound a metà strada tra pop leggero e autentica glacialità, a una non ancora definitiva presa di distanza dell'autore rispetto al suo mondo ispirativo. Queste lacune venivano però colmate l'anno successivo, dal secondo album "Poco zucchero". Gli arrangiamenti raggiungevano e creavano l'esatto clima modernista, spettrale, etereamente elettronico più proprio ai modelli che Faust'o voleva incarnare. La presa di distanza funzionava a meraviglia, facendo guadagnare a Faust'o soprattutto una marcata personalità autonoma, tendente a svincolarsi dall'influenza diretta dei suoi modelli.

J'ACCUSE... AMORE MIO

Il terzo album di Faust'o che esce in questi giorni, è però senza dubbio il suo migliore, il più originale ed organico. Terminata la collaborazione con Radius, stavolta Fausto ha fatto davvero tutto da solo, con l'attenta collaborazione e cooproduzione di Mauro Paoluzzi. Il suono è diventato, rispetto ai precedenti LP molto più scarno, più duro. I testi, assolutamente neurotici, anch'essi secchi come slogan, spesso gridati, martellati, affrontano soprattutto situazioni pubbliche legati alla percezione di una catastrofe imminente. I temi principali prediletti da  Faust'O, l'orrore e «l'alienità », il suicidio, la guerra come psicosi, d'angoscia quotidiana, il gusto ambiguo della modernità sono presenti a livelli lucidissimi. E in tutto l'album serpeggia una incredibile, sotterranea forma di pressione. Dal punto di vista della paranoia modernista, « Retroattività » (frivola e amara). « Disaster » (un rock elettronico apocalittico e martellato) e« Buon anno » (una raffinata ballata tecno-pop) sono i bozzetti musicali più indicativi. E ancora, ricche di fascino sono «Piccole anime » (dedicata ad alcuni celebri casi di suicidio auto-omicidio... — di ogni tempo, con brani rabbrividenti cantati in inglese, francese, tedesco e latino); « Hotel Plaza » (una canzone spettrale e evanescente); e la cinica, acre (e in ogni senso conclusiva), «Forse anche noi». 

BOWIE. ENO E POI...

 Da che tipo di formazione musicale si è sviluppata la direzione della tua musica?
Naturalmente, per me tutto è cominciato con i Beatles e i Rolling Stones. Io sono nato a Sacile, vicino Pordenone, e lì c'era una base americana. Fu lì che nel 1969 cominciai ad ascoltare i dischi dei Velvet Underground e degli Stooges: dischi in Italia assolutamente sconosciuti. Per questo, quando poi venne fuori il rocK duro, i Deep Purple, i Black Sabbath, a me in confronto con Velvet e Stooges, non sembravano la fine del mondo. Seguendo questa linea, ho volutamente saltato tutto il periodo dei Genesis, VanderGraaf, Yes e compagnia. Il mio sbocco naturale è stato infatti Bowie e tutto quel che ne è seguito.
Da quale di questi  nomi, Bowie, Roxy Music, Eno, Lou Reed, Ultravox, ti sei sentito più direttamente influenzato, e perché?
R: Indubbiamente, da Bowie e da Eno. Entrambi soprattutto perché sanno, Eno in maniera intuitiva, Bowie in maniera più razionale, capire e presentare le cose con almeno uno o due anni d'anticipo sui tempi. In Bowie poi, mi riconosco anche nel feeling della scrittura dei testi.
Come mai per "J'accuse... amore mio » ha avuto termine la collaborazione con Alberto Radius?
Fin dal primo album, siamo stati spesso in disaccordo sulle soluzioni da dare agli arrangiamenti. Così, in buoni termini, per l'ultimo LP abbiamo interrotto il nostro rapporto di lavoro. E' tutto qui.
Lungo il percorso dei tuoi tre album si nota un allargamento progressivo da temi privati a temi pubblici. Come mai?
Per me è importante parlare soprattutto dei fatti che accadono ora, in questo momento, lo sento molto questa pressione, questa angoscia: il mondo è diventato piccolissimo, i mass-media e gli altri sistemi di comunicazione fanno sì che ogni fatto che accade è connesso con tutti gli altri, che ogni fatto di portata pubblica ha un'immediata influenza su ogni fatto privato e individuale.
La guerra?
Secondo me è già cominciata.
Il suicidio?
Sono affascinato dal suicidio, da questi esseri che decidono di troncare la loro vita con un atto radicale.
Perché in questo terzo LP, molte frasi delle canzoni sono in inglese?

Perché spesso esprimono con più immediatezza la sensazione esatta che voglio comunicare. E poi anche in funzione ritmica, in funzione del suono che voglio ottenere.
Da quando suoni il sintetizzatore?
E' una vecchia passione. Mi sono innamorato del sint da quando lo usò per la prima volta, con i Beatles, George Harrison. Ma allora in Italia non esistevano, e così prima facevo delle assurde modifiche sugli organi elettronici, poi ho cominciato con gli oscillatori...
Quali sono i tuoi programmi più immediati?
Ritornare a esibirmi dal vivo. Comincerò a Roma, verso la metà di gennaio. Avrò con me dei giovani è bravissimi musicisti: Franco Cristaldi, Giuseppe e Piero Cazzago, forse anche Mauro Paoluzzi: sono la prima formazione stabile che collabori con me, gli stessi che suonano anche nell'ultimo LP.
Faust'O a che tipo di pubblico ti rivolgi?
Non mi interessa il discorso commerciale facile. Mi rivolgo soprattutto a coloro che sentono le cose e vivono le sensazioni alla stessa mia maniera.

Ciao 2001, 21.12. 80
Da circa tre, quattro anni, il nostro panorama musicale si è andato popolando di artisti che con il '68 hanno poco da spartire, o perlomeno i riferimenti presenti sono più mediati ed inseriti in un clima ispirativo diverso. Volti e musiche decisamente meno provinciali di tante geremiadi sul gusto e sul costume che fatalmente cambia, che i cantautori ci hanno propinato durante la stagione del loro dominio felice. Ancora i mutanti non sono molti, anzi il numero è compreso in quello delle dita di una mano. E tra costoro due sono i nomi che maggiormente hanno cercato di far funzionare il loro gusto ed il loro talento, Krisma e Faust'O. I primi in un modo assolutamente internazionale, geniale e fuori da ogni schema classico, il secondo invece proponendosi nelle vesti di aristocratico cantore (in diretta) della caduta e morte della grande civiltà occidentale. Questo ragazzo ha all'attivo tre album, che sono piaciuti moltissimo a tutti coloro che apprezzano Lou Reed, David Bowie, ovvero i poeti rock della decadenza. L'intelligenza di Faust'O comunque è venuta fuori ben presto. L'artista .infatti ha tenuto ben presenti  i suoi natali mitteleuropei quando è entrato in sala d'incisione, e questo suo ricordare ha impedito la creazione di prodotti sterili, vuoti, insignificanti. La chitarra elettrica per noi abitanti del vecchio continente è uno strumento che ci lascia sottilmente insoddisfatti. E Faust'O è proprio partito da questa mai confessata insoddisfazione nell'allestire la sua atmosfera, nel raffinare il tocco espressivo. La sua musica è secca, nervosa, dai suoni glaciali come cristalli, guarda al futuro, a guerre atomico-mondiali, irride amaramente il presente, ma 'in 'fondo ha .il cuore nel passato, un passato di ordine e di "utopie" un passato che è stato l'ultimo tentativo raziocinante, l'ultimo baluardo allestito dall'uomo per .impedire 'il processo di autodistruzione che è iniziato da circa trent'anni. "J'accuse... amore mio" è forse il miglior album di questo giovane artista, che è riuscito a crearsi uno stile personale, anche in fatto di musica. -Rock, romanticismo ed elettronica trovano nei solchi dell'.incisione numerosi punti di decadente equilibrio, come nel caso della splendida "Hotel Plaza". 


LE QUATTRO SERATE DI ODISSEA 2001
 di g.b.
Tremila giovanissimi alla maratona «rock». Quasi mille giovanissimi sono venuti l'altra sera ad assistere all'esibizione di Faust'O che insieme a quella del complesso milanese degli Underground Life ha concluso la maratona del rock organizzata dalla discoteca Odissea 2001di via Forze Armate. Sono comunque più di tremila i fans della cosiddetta new wave, che hanno applaudito musicisti italiani e stranieri nel corso delle quattro serate di rassegna. Per quanto riguarda lo show di Faust'O, che aveva deluso un anno fa nel suo debutto all'Arco della Pace. La presenza del gruppo spalla «J'accuse» senz'altro ben preparato ha reso meno lunari le sonorità del singolare artista alla ribalta con canzoni tratte dai microsolco Faust'O e Poco zucchero incorniciate da un preambolo di musica impressionista. Anche i testi delle sue nuove creazioni appaiono frutto di una maggiore ponderazione e vengono proposte con gestualità professionale. Il  prodotto completo è comunque ancora mediocre e si perde nella moltitudine di proposte che il calderone rock nazionale continua a produrre.

DALL'ELETTRONICA AL FOLK Music News, 1980
Fino a poco tempo fa il più grande interesse di Faust'O era la musica elettronica. Ora, invece, ha scoperto la musica etnica... Lo hanno definito «poeta urbano», per quel suo amore abbastanza sanguigno che lo lega alla metropoli italiana per eccellenza: Milano. Faust'O Milano la ama davvero. Ci vive bene, o, meglio, con un certo disagio, ma in fondo è quel tipo di disagio esistenziale che gli permette di essere sempre proiettato in avanti, alla ricerca di colori e sensazioni nuove, di altre sfumature. Faust'O difficilmente è uguale a se stesso. Ed è proprio questo il suo modo di essere coerente: la ricerca, la continua scoperta di nuovi interessi lo coinvolgono a tal punto da fargli magari dimenticare (o comunque relegare in secondo piano) quelli che erano gli interessi del giorno prima. È un superamento continuo del tutto che conduce ad una estrema vitalità creativa. In pratica, quanto detto fin qui lo ritroviamo nei tre album che ha inciso fino ad oggi (i cui titoli sono: Suicidio, Poco zucchero e J'accuse... amore mio), che si differenziano alquanto l'uno dall'altro, pur inseguendo un unico obiettivo,  che è appunto quello  della ricerca, di un modo nuovo di intendere la musica.

TRA PASSATO, PRESENTE E FUTURO
Nei tre dischi che hai inciso fino ad oggi sei riuscito a far» esattamente le cose che volevi?
«Quando ho inciso il primo disco non sapevo nemmeno quello che stava succedendo, perché non ero assolutamente pronto. Il secondo e il terzo, invece, sono venuti come io li volevo in quel preciso momento. Adesso potrei desiderare altre cose, farli diversamente, ma in quel momento volevo esattamente quelle cose».
Tu cerchi sempre di superare il tutto di tè stesso, di trovare nuovi interessi. Come mai?
«Probabilmente se tendo a superarmi è perché in me c'è questa voglia di continuo rinnovamento di una  continua ricerca in diverse direzioni... Non voglio fare le stesse cose che fanno tutti gli altri. Vedi, io ho la possibilità dì incidere un disco all'anno. Nello stesso periodo di tempo escono
almeno altri cento dischi di quel tipo di musica. Pertanto, anche se non sono stato io a superare quella situazione, qualcun altro l'ha sicuramente superata. Quindi non mi interessa più. Per me è importante fare sempre cose nuove».
Per te esiste un punto d'arrivo?
«Di fatto non ho punti fermi. Se l'anno scorso parlavo di elettronica. Oggi mi interessa la musica etnica...».
Questo interesse per la musica etnica come l'hai scoperto?
«È molto tempo che mi interesso di musica etnica. Tanti anni fa già lavoravo sulla musica indiana. Recentemente, riascoltando un disco dei Talking Heads dove c'è una forte componente di musica africana, ho riscoperto questo interesse».
Nel tuo futuro, dunque, c'è la musica etnica?
«Sì, anche... Però attenzione: credo che sia abbastanza stupido fare la loro musica con i loro strumenti, per due motivi. Primo, perché è molto difficile. Secondo, perché sarebbe inutile, dal momento che ci sono già loro che la fanno. Secondo me la soluzione potrebbe .essere quella di fare la loro musica con i nostri strumenti, o viceversa, cioè la nostra musica con i loro strumenti. Ed io probabilmente con il prossimo disco farò proprio un'operazione di questo tipo, almeno per quanto riguarda una facciata».
Il lato «B», invece, come hai intenzione di impostarlo?
«Saranno canzoni, ma con una costruzione abbastanza atipica».

L'UOMO E IL COMPUTER
"Music News" supplemento di Boy Music N.28, 1980
Recentemente sono stati fatti esperimenti di dischi completamente computerizzati: nell'elaboratore sono stati inseriti tanti dati e ne è venuta fuori una canzone inedita. Cosa ne pensi?
«Fino a poco tempo fa pensavo che tutto questo fosse affascinante, ma oggi sono più cauto nelle valutazoni... Comunque, la musica ha bisogno di crescere: l'ultima vera invenzione risale a cinquanta anni fa, ed è quella della dodecafonia. Secondo me ci sono altre frontiere da varcare, e, se per superarle c'è bisogno del computer, ben
venga. Ma dietro deve esserci l'uomo».
Nel tuo terzo LP tratti un tema molto scottante: la guerra. Perché?
«Se devo dire fa verità, ho scritto tutti i testi di questo album probabilmente senza rendermi conto. Ho semplicemente messo per iscritto delle
sensazioni, delle visioni, rimanendo sempre ai limiti dell'inconscio, senza mai prendere completamente coscienza di queste situazioni che poi riportavo su un foglio».
Questo vuol dire che non dai importanza agli argomenti che tratti?
«No, vuol semplicemente dire che non saprei parlare dei miei testi, che
non so spiegarli».
Tu sei sempre stato molto polemico nei confronti della scena musicale italiana. Perché?
«Faccio una premessa: fino a poco tempo fa avevo paura di compromettermi scrivendo e suonando un certo tipo di cose. Più tardi ho scoperto che non è vero che non è paura di rimetterci la faccia o del compromesso: è che di certe cose non me ne frega assolutamente niente. Un certo tipo di canzone mi lascia assolutamente indifferente, non mi stimola. Anzi, probabilmente non sarei nemmeno capace di scriverle, ne di cantarle... D'altro canto, invece, sto riacquistando il gusto per certe cose. Un anno fa tutto quello che sentivo non mi piaceva, adesso invece ci sono alcuni dischi che ascolto molto volentieri».
Cosa è successo in questo ultimo anno? Cosa ti ha portato a rivalutare certe cose?
«Credo che dipenda dal fatto che io oggi non ho più nessun senso di rivalità.
Quello che fanno gli altri lo seguo, ma in maniera molto disincantata; quindi sono certamente più disponibile di prima... Per il futuro mi vedo su una certa strada, che non è più quella della canzone. Quindi, anche se in un certo senso ci sono ancora dentro, guardo questo mondo in maniera abbastanza distaccata: certe cose mi divertono, altre no. Ma mi fermo qui. Incazzarmi, giudicare, criticare non mi interessa più».
Tu non, hai mai suonato molto dal vivo. E' perché i costi sono eccessivi o perché non ti interessa il contatto con il pubblico?
«Fare serate non mi interessa. Non ho voglia di preoccuparmi di tutti i problemi, tecnici e no, che stanno dietro un concerto. Non rifiuto il contatto diretto col pubblico, ma non mi interessa andare davanti alla gente a cantare canzoni: voglio portare altre cose. e non perché io voglia fare il "colto" a tutti i costi, ma perché ho veramente bisogno di un po' d'aria, di cose diverse. Evidentemente questa continua ricerca è nella mia natura, ed è per questo che non sopporto tutta quella gente che lavora in un certo modo: come si può buttare via tanti anni cercando di vendere dischi ad ogni costo?».
Ci pensi mai al «dopo»? A quando non inciderai più dischi?
«Ho 27 anni, quindi so di avere molto tempo davanti a me, per cui posso permettermi di usare cinque o dieci anni della mia vita per studiare. Adesso ho in ballo un corso di elettronica e uno di armonia al conservatorio e poi tutta una serie di cose. Credo che la vita debba essere spesa in un certo modo. A me interessa la musica e allora lavoro per la musica, per l'evoluzione della musica».
Vuoi descrivere la tua giornata tipo?
«Ho scoperto che da molto tempo sono continuamente in tensione. Anche quando sembra che non stia facendo niente, continuo a pensare... Diciamo che la mia giornata-tipo per un buon 40-50% è riempita dai mio interesse principale, cioè la musica. Il resto lo passo a mangiare, dormire,  guardare la televisione. Mi interessa molto il cinema, anche se non ci vado spesso; e la lettura, anche se leggo in modo alquanto disorganico»
La vita metropolitana ti affascina sempre?
«Certe cose della vita metropolitana mi piacciono sempre, ma, come ho già detto, in me sono cambiate tante cose. Oggi la metropoli non mi affascina più come una volta, anche se faccio sempre fatica ad allontanarmi da Milano: in campagna non riuscirei mai a vivere, mi mancherebbero troppe cose.
Spesso parli della morte. È perché ti affascina o ti spaventa?
«Ho scoperto che molte delle cose che mi affascinano nello stesso tempo mi spaventano. Questo è uno di quei casi.
Credi che esista un «dopo»?
Penso che certe cose uno le debba sperimentare. Non che uno debba morire, no.  Ma se ci sono delle dottrine particolari che trattano quegli argomenti, buttatici dentro e trai le tue conclusioni... Ma non mi piace  entrare nell'argomento. Ogni volta che tento di farlo faccio una fatica enorme a parlarne.
Parliamo di una cosa più frivola: se qualcuno ti garantisse il primo posto in Hit parade, ovviamente a a costo di pesanti compromessi, tu accetteresti?
«Senz'altro! Vorrebbe dire avere a disposizione un sacco di soldi, con cui poter fare tante altre cose»
Pensi davvero che, una volta che uno ha rinunciato alla sua personalità, dopo riesca a fare le cose in cui crede?
«L'altra sera stavo guardando il film California poker di Altman, e il protagonista continuava a vincere. A un certo punto stava vincendo undicimila dollari; alla fine ne ha vinti ottantaduemila. Io ad undicimila mi  sarei fermato senza problemi. Perché credo che basti avere la coscienza di quello che ti serve per arrivare a un certo scopo.  Però il fatto di continuare a perdere tempo per cercare questo primo posto in hit parade non mi interessa assolutamente. Se mi dicono: fra tre o quattro mesi sei primo in hit parade, va benissimo.  Ma dopo, perdere ancora tempo, no.

L'ACCUSA DI FAUST'O
work in progress

FAUST'O & J'ACCUSE
work in progress

UN POETA ELETTRICO IN ASCESA
ROLLING STONE N 8 1980 di Riccardo Barbieri
work in progress






IN TV
Hotel Plaza a DISCORING rai 1




Retroattività- Hotel Plaza a POPCORN canale 5




Crazy Bus 1 febbraio 1981 Hotel Plaza




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